kasha raffin fierek

giovedì 1 marzo 2012

ombra...



La solitudine è un problema che tocca drammaticamente milioni di persone. La solitudine può essere banalmente definita come "assenza di compagnia". Questa semplice definizione fa subito comprendere che
la solitudine in sé non può essere considerata un fattore penalizzante.
Non a caso, un celebre proverbio ci suggerisce che è meglio essere soli che male accompagnati. Ciò è però di scarso conforto per tutte quelle persone che, schiacciate dalla solitudine, farebbero qualunque cosa per avere un qualche rapporto umano. Si tratta quindi di capire quando la solitudine è realmente un handicap alla qualità della vita e quando invece è il soggetto che non sa gestirla, ingigantendone gli aspetti negativi senza fruire di quelli positivi.
Sì, perché come lo stress (classicamente distinto in distress, ovvero "stress negativo", ed eustress, ovvero "stress positivo"), la solitudine può anche essere positiva, tanto che a volte è ricercata.
Per fare chiarezza è necessario capire il rapporto che esiste fra gli
oggetti d'amore e i rapporti personali positivi:
un rapporto personale positivo amplifica gli oggetti d'amore.
Per chiarire ulteriormente occorre distinguere fra compagnia e amicizia. Nel primo caso rientrano tutti quei rapporti in cui non c'è uno scambio nettamente positivo, ma ci si limita a considerare la vicinanza umana; nel secondo rientrano le amicizie parziali e quelle totali (quindi anche le relazioni affettive in cui all'amicizia, a vari livelli, si unisce la componente sessuale) in cui il bilancio è oggettivamente positivo. In quest'ultima frase il termine oggettivamente è fondamentale perché il soggetto potrebbe essere così disperato da preferire una compagnia devastante piuttosto che la solitudine: in campo sentimentale è quella situazione che dà origine alla strategia dell'ultima spiaggia. Definiti pertanto tre stati ovvero solitudine, compagnia e amicizia, possiamo dire che:

1) avere amici amplifica gli oggetti d'amore,
quindi
2) avere amici è una condizione facilitante per la qualità della vita.
Ma
3) la solitudine negativa è lo stato di chi non sta vivendo oggetti d'amore,
quindi
4) la solitudine negativa non si vince con la compagnia (strategia dell'ultima spiaggia generalizzata).




Una visione moderna sulla solitudine sono fortissimi e derivano da un errore razionale molto comune nella popolazione, confondere una condizione facilitante per una necessaria: così la ricchezza è fondamentale per essere felici, avere un partner altrettanto, fino ad arrivare alla "necessità di non essere soli". Se il condizionamento è recepito in maniera totalmente acritica può avere effetti devastanti.
Un aneddoto chiarirà perché tale visione deve essere modernamente superata.
L'episodio mi è stato riferito da un amico scacchista ed è avvenuto in Veneto nel 1976 durante un torneo piuttosto importante: un maestro internazionale era seduto al tavolo di un caffè e stava analizzando la sua partita con la scacchierina portatile; improvvisamente una scossa di terremoto (quello che devastò il Friuli) seminò il panico nella piazzetta, provocando un fuggi fuggi generale. L'unico che non si spostò fu il nostro maestro che continuò nella sua analisi, vanamente richiamato dai suoi amici. Il suo amore per gli scacchi era tale che nemmeno un terremoto poteva distoglierlo.
È abbastanza evidente che il nostro scacchista, quando analizza, che sia solo o meno, che ci sia un terremoto o meno, poco importa. Quando noi abbiamo qualcosa da amare siamo già in compagnia di un amico. Questo è l'insegnamento del punto 3. È immediato notare che molte persone single che hanno una vita molto intensa, riempita dal lavoro e/o da hobby cui tengono molto non soffrono affatto la solitudine. Nella 3, la nuova definizione combacia con quella classica se l'oggetto d'amore è una persona, ma è profondamente diversa perché consente di svincolarsi dalla necessità del rapporto umano.
D'altro canto, molti soggetti, pur avendo la compagnia di altre persone, si sentono soli e sono la dimostrazione più convincente del punto 4. Dovrebbe quindi essere abbastanza evidente che la relazione con altri simili non basta a lenire completamente il senso di solitudine che l'individuo può provare.
Rapporti difficili? - Un errore da non fare è scambiare automaticamente la difficoltà di avere buoni rapporti con persone del nostro mondo neutro con l'assenza di amici. Sul lavoro o nei rapporti occasionali potremmo essere delle frane, ma nel nostro mondo dell'amore potremmo avere amici fantastici. Ciò significa semplicemente che l'ambiente neutro non è molto adatto alla nostra personalità. Più complesso il caso in cui alla base dell'assenza di amici esiste spesso una cattiva gestione di quel mondo neutro che è costituito dalla gran parte dei nostri simili. L'importanza del contatto con il mondo neutro è rilevata dal fatto che
molte persone del nostro mondo dell'amore appartenevano al mondo neutro.
Si pensi al nostro partner o ai nostri più cari amici. Quindi:
una gestione disastrosa del mondo neutro comporta spesso un mondo dell'amore piuttosto vuoto.
Ma ciò, ripetiamo, non è automatico.
Solitudine e personalità
Sembrerebbe quindi che la strategia antisolitudine sia quella di avere oggetti d'amore che riempiano la nostra vita. Ed è così. Il vero problema all'attuazione della strategia è che spesso per avere molti oggetti d'amore, per essere avidi di vita, occorre avere una grande capacità d'amare.
Un soggetto che ha un solo oggetto d'amore, presumibilmente avrà degli spazi delle sue giornate in cui sarà (si sentirà) solo (in senso classico). Chi ha una personalità equilibrata sarà naturalmente portato verso altri oggetti d'amore che riempiranno la sua vita, chi non ce l'ha, o non l'ha ancora perfezionata, troverà ostacoli in questo processo che gli impediranno di non vivere negativamente la solitudine.
Gli svogliati – Il loro grande problema è che, avendo una scarsa forza di
volontà anevrotica, non sono in grado di costruirsi oggetti d'amore perché raramente superano lo scoglio della fatica della conoscenza dell'oggetto; non avendo la forza di investire risorse verso ciò che potrebbero amare, hanno coinvolgimenti superficiali e quindi inutili.
Gli inibiti e i mistici – La loro solitudine è complicata dai loro dogmi, ma spesso sono in grado di vivere in modo talmente intenso il dogma (come fa per esempio l'eremita) da non avvertirla.
I deboli e i patosensibili sono troppo inclini a scambiare la compagnia per amicizia, salvo poi avvertire una profonda solitudine interiore quando la superficialità del rapporto viene a galla.
I violenti rovinano molti rapporti umani perché la loro violenza non criminale esplode con difetti molto gravi come, per esempio, la
gelosia e la superbia.
Gli apparenti hanno come scoglio principale la
vanità.
I sopravviventi – Poiché non riescono ad andare a fondo dei loro oggetti d'amore, questi ultimi sono in grado solo di limitare, ma non rimuovere, le sensazioni spiacevoli collegate alla solitudine.
I romantici – Avvertono in modo particolare l'oppressione della solitudine perché idee classicamente romantiche sono l'amore (o in subordine la vera e profonda amicizia) o la famiglia che sono visti come condizioni necessarie alla felicità. La solitudine diventa il marker esistenziale che mette in luce il fallimento del tentativo di realizzare tali idee. Non a caso, spesso, il romantico risolve (male) il problema della solitudine con la strategia dell'ultima spiaggia.
I romantici, con insofferenti e insoddisfatti, sono anche troppo esigenti: molto disponibili con tutti, non appena avvertono un difetto nella controparte, scattano il rifiuto e la solitudine di rimbalzo, quest'ultima spesso vissuta come delusione di un rapporto mancato.
Va da sé che poi sentimenti trasversali come l'
invidia possano facilitare molto la solitudine.
Poiché tali difficoltà aumentano con l'invecchiamento del soggetto (molte persone rimpiangono i tempi dell'adolescenza o della scuola in cui era molto facile avere amici e la solitudine era una parola sconosciuta), si può ritenere che, se non si corre ai ripari, sia naturale evolvere verso la solitudine dei vecchi. Infatti i vecchi sono soli soprattutto perché non riescono più a gestire bene i rapporti umani (a differenza degli anziani); studiando il loro tipo di solitudine e adattandolo a tutte le età, si scopre che tratti comuni sono:

  • la valutazione discreta; le persone vengono scisse fra positive e negative, senza toni intermedi e l'universo di quelle positive si restringe sempre più, spesso rimanendo confinato ai soli familiari. L'universo negativo è rifiutato e i contatti con esso sono decisamente limitati.
  • La gestione passiva. Non esiste nessun tentativo di gestire l'universo positivo che così può interagire con noi solo se è propositivo. In altri termini, si pretende che la montagna venga sempre da Maometto.
Ribaltando i due punti precedenti, si scopre che la strategia corretta per ottimi rapporti umani si basa su:
  • una valutazione continua delle persone. In ogni persona c'è qualcosa di buono che consente un rapporto positivo (amicizia parziale): nostro compito è saperlo estrarre.
  • Una gestione attiva. Non limitiamoci a ricevere (subire) proposte che magari sono parzialmente in conflitto con il nostro sentire, ma prendiamo in mano la situazione e vediamo di proporre (sperabilmente con entusiasmo!) contatti umani che esaltino i reciproci pregi, nascondendo del tutto o in parte i reciproci difetti.
Una gestione attiva dei rapporti umani è un investimento per il nostro futuro, non sottovalutiamone l'importanza.

Le strategie sbagliate. Sono ovviamente infinite e nascono dal fatto che, anziché ricercare oggetti d'amore, la persona riempie i propri buchi esistenziali in altro modo. Le strategie più frequenti sono quelle che impiegano la strategia della cooperativa e le attività di gestione.
Nella
strategia della cooperativa il soggetto è portato a circondarsi di persone sia assumendone in carico i problemi (una versione di questo atteggiamento è lo sbocco nel volontariato di molte persone sole) sia partecipando come comparsa alle attività del gruppo. È abbastanza evidente che tale strategia possa solo limitare la solitudine perché esistono sempre momenti in cui la persona resta sola con sé stessa.
La strategia di gestione consiste nell'utilizzare le attività di
gestione per riempire la propria vita: la casa, il giardino, l'auto, lo shopping, la burocrazia ecc. Senza amare veramente questi oggetti, che quindi non sono oggetti d'amore, li si usa per riempire il tempo. Si arriva persino a negare la solitudine (solitudine negata), convinti che "non si ha mai tempo".
Per capire come trovare amici, si consulti anche l'articolo
Solitudine? Le strategie.

Si parla della difficoltà a vincere la solitudine interiore, solitudine che spesso riemerge con un carico di tristezza difficilmente gestibile.
La pesantezza della solitudine interiore è un po' come la morte, si può dimenticare, ma non cancellare. E dimenticarla è la strategia migliore, coprendola con tanti oggetti d'amore.
Prima una persona deve riuscire a stare da sola, poi apprezzerà ancora meglio la compagnia degli altri, sarà la ciliegina sulla torta. E per star bene da soli non c'è che un modo, amare ciò che si fa, penetrando dentro di esso e fondendosi con esso fino a dimenticare tutto ciò che ci circonda (solitudine compresa!).
 E non corrono perché "da soli" è più dura. È noto che allenarsi da soli penalizza un po' l'allenamento, ma non deve penalizzare il nostro amore per la corsa. Anzi, se vogliamo, è un test per verificare il nostro amore per lo sport. La corsa serve per stare bene, per essere forti e avere energie per amare altre cose.
Fare una cosa da soli non deve essere frustrante.
Si deve cioè imparare che ciò che si ama (dalla lettura di un libro a una corsa, da una passeggiata allo stare con una persona) è vero amore se tu ti fondi con esso; per convincersene si rilegga, nel paragrafo Una visione moderna, l'aneddoto dello scacchista che va avanti ad analizzare la sua partita nonostante l'improvviso terremoto. Questa è la fusione con l'oggetto d'amore.
Naturalmente mi è sempre capitato di fondermi con ciò che amavo. Da ragazzo, quando giocavo a pallone e si era sotto di un goal, non c'era nulla che potesse distrarmi dalla voglia di recuperare lo svantaggio; la stessa cosa mi capitava con il basket e oggi con gli scacchi o con la caccia.
Io amo moltissimo la caccia al fagiano, caccio sempre da solo e mai caccerei con altri (molti amici non cacciatori mi hanno chiesto spesso di accompagnarmi, ma ho sempre cortesemente rifiutato) proprio perché da solo assorbo tutto ciò che la campagna mi dà, senza distrazioni. Analogamente posso studiare scacchi per ore finché non capisco perché proprio quella mossa era la migliore. Non sono un solitario perché ho una moglie fantastica e molti amici, ma sono sicuro che li apprezzo proprio perché saprei star bene anche da solo, li vedo come uno splendido regalo che la vita mi ha fatto, non come ancore di salvezza in un mare che non amo abbastanza e che vuole mandarmi a fondo. Come li ho trovati? Con le cose che amo. Ci sono persone che si rattristano al solo pensiero di passare una domenica da sole. Ma hanno qualcosa da amare? Sì? E allora si diano da fare, escano e facciano ciò che amano, da sole o con altri. Invece che piangersi addosso, dicano al mondo ciò che amano e il mondo le ricompenserà permettendo loro di incontrare altre persone che amano gli stessi oggetti d'amore.
Quando lasciamo che i pensieri negativi offuschino ciò che amiamo, ecco che siamo noi a decretare
la fine della nostra giornata, facciamo calare il buio della notte: non possiamo poi pretendere di essere felici.

Nessun commento: