kasha raffin fierek

sabato 21 aprile 2012

per lei.






il lavoro più adatto per lei.
Ha buoni motivi per lasciarsi alle spalle l’altra occupazione, quella dell’insegnante, quella per cui credeva di essersi preparata da sempre, ricoprendo di volta in volta il ruolo di scolara, allieva e studentessa eccellente essendo una di quelle persone che credono che studiare sia piacevole, una vera fortuna, piuttosto che un’incombenza faticosa e inevitabile come si ricorda agli studenti svogliati: lo studio è il tuo lavoro!
Leggendo il suo libro sono tornata agli esordi della mia carriera di insegnante.
Io non desideravo affatto diventarlo.
Avrei preferito senz’altro affrontare gli studi giuridici e avviarmi alla carriera di magistrato, ma sarebbe stata una cosa lunga e mio padre, avanti negli anni e malato, non poteva garantirmi sostegno morale ed economico.
Scelsi allora un altro indirizzo che conclusi di corsa conquistando così l’indipendenza, liberandolo dalle preoccupazioni per il mio futuro ed entrando a far parte di un ambiente ricco di possibilità e altrettanto riccamente bistrattato.
Eppure la scuola sarebbe il luogo migliore del mondo con la “mission” più appagante, quella di formare le giovani generazioni comunicando loro metodi e conoscenze, se non fosse anche refugium peccatorum di anomalie, limitazioni, frustrazioni, incoscienze e superficialità che smontano il coraggio di chi ha qualcosa di buono da dare, da dire e da imparare.
Insegnare sembra un ripiego e una routine, apprendere diventa un obbligo, contestare un dovere, partecipare un modo per abbattere il volo di insegnanti e studenti che si illudono che sapere sia un merito e che il merito abbia valore e credito.
Docenti delusi, allievi ignoranti, genitori allo sbando, responsabili (ad ogni livello) annaspano alla ricerca di soluzioni magiche per dare alla scuola una veste diversa da quello che è: intrattenimento maldestro di ragazzi che imparano altrove e altro, illusi che ciò che appare sia ormai meglio di ciò che è.
Il libro di Chiara Santoianni sembra eccessivo in alcune pagine, invece fotografa la situazione.
Da alunni vorremmo di più, da insegnanti ci sentiamo allo sbaraglio e impossibilitati a dare di più, da genitori non sappiamo cosa fare per i nostri figli e vorremmo che avessero il meglio pur giustificando spesso atteggiamenti e comportamenti inaccettabili ovunque e soprattutto a scuola.
Tutti abbiamo un’unica certezza: così non va.
Una volta, fino a non molti anni fa si diceva che la scuola primaria doveva insegnare a leggere, scrivere e far di conto; quella secondaria di primo grado doveva approfondire le conoscenze e mettere in luce le inclinazioni individuali; alla scuola superiore toccava fornire le abilità; l’università avrebbe dato sistematicità alla conoscenza approfondita sull’argomento scelto.
Qualcosa non ha funzionato da quando alle elementari qualcuno ha cominciato a dire che, in fondo, l’ortografia non era importante, meglio puntare sulla socializzazione; alle medie contava solo l’orientamento alle scelte future; alle superiori la partecipazione e all’università esserci.
Chi ha potuto e saputo, ha scelto nel bailamme generale le scuole migliori per i propri figli (moltissime e pubbliche che non hanno ceduto a ricatti di sorta hanno mantenuto alti gli standard di preparazione e formazione), ma la maggior parte dei genitori si sono ritrovati delusi nelle aspettative e nei progetti.
L’approssimazione organizzativa ha condannato la maggior parte dei docenti all’improvvisazione affidandoli al loro stesso buon senso e coscienza, avvilendoli con carriere e stipendi che non tengono affatto conto che il futuro di una nazione poggia sull’educazione e sulla formazione delle generazioni future: non vi è prospettiva quando uno Stato non investe sulle possibilità di apprendimento e conoscenza dei sui cittadini più giovani.
Lo so che gli insegnanti sono tanti e i soldi sono pochi.
Questo è il busillis: i soldi vanno trovati e la scuola non deve essere limite e ripiego, perché è davvero il luogo migliore del mondo.
Forse se cominciassimo a pensare che molte risorse sono gettate al vento per foraggiare personaggi che abilmente sgambettano o pontificano sugli schermi televisivi, imparando ad abbassare l’audience di certi programmi; forse se cominciassimo a giudicare che la professione di starlet vale meno di quella di direttore di museo o di ricercatore universitario o di primario ospedaliero o di progettista; forse anche la cultura e la scuola che la promuove avrebbero altro valore.
Non so cosa farà Chiara “da grande”.
Non so se, delusa dal mondo della scuola, la sua genialità migrerà verso altri lidi.
Da insegnante in pensione quale io sono, le auguro di continuare a scrivere libri mordaci e di facile approccio come quello che ho letto con piacere che parla della scuola con disincanto e franchezza, con l’occhio dell’insegnante che ha a cuore allievi, genitori, colleghi e Istituzione:
Ho apprezzato il suo spirito salace e mi sono ritrovata attraverso le sue parole negli anni Settanta in quei primi giorni della mia carriera scolastica, in una scuola dell’hinterland milanese in cui un collega stanco e stralunato, destreggiandosi tra casi pietosi e piccoli delinquenti, così scriveva in una nota sul diario di classe: “L’alunno Cipolla, da me rimproverato, posta la mano sinistra sul braccio destro, risponde con ampio gesto dell’avambraccio”.
Niente di nuovo in questi ultimi decenni?
Credo di no.
Chiara Santoianni, “Il lavoro più (in)adatto a una donna, ed CentoAutori, 2011

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